giovedì 24 maggio 2012

Quand'è l'anima?/ Parte seconda

"Si dice che ad ogni rinuncia

corrisponda una contropartita 

considerevole, ma l'eccezione alla regola 

insidia la norma. 



Se è vero che ad ogni rinuncia 

corrisponde una contropartita 

considerevole, privarsi dell'anima comporterebbe 

una lauta ricompensa. "


                                 Carmen Consoli, L'eccezione.



mercoledì 23 maggio 2012

Quand'è l'anima?

Oggi su Palermo piove.
Oggi la città si lava. 
Speriamo non abbia il vecchio impermeabile.
Speriamo che l’acqua faccia quello che deve fare.
Non è un giorno qualsiasi. Sono passati vent’anni.

C’è una poesia di Wislawa Szymborska che “smonto” spesso. 
Ne prendo qualche frammento all’occorrenza.
Le poesie si devono poter “usare”, spremere, stringere, maneggiare… vivere. Altrimenti sono fregature.
Oggi è il giorno giusto per rimontarne una e usarla per intero.
Sarà un pò la mia commemorazione.
Si chiama Qualche parola sull'anima
L’anima la si ha ogni tanto.
Nessuno la ha di continuo
e per sempre.

Giorno dopo giorno, 
anno dopo anno, 
possono passare senza di lei.

A volte nidifica un pò più a lungo
solo in estasi e paura dell’infanzia.
A volte solo nello stupore 
dell’essere vecchi.

Di rado ci da' una mano in occupazioni faticose,
come spostare mobili, 
portare valige
o percorrere le strade con scarpe strette,

Quando si compilano moduli, si trita la carne,
di regola ha il suo giorno libero.

Su mille nostre conversazioni partecipa ad una,
ed anche a questo non necessariamente,
poiché preferisce il silenzio,
quando il corpo comincia a dolerci e dolerci,
smonta di turno, alla chetichella.

E' schifiltosa:
non le piace vederci nella folla,
il nostro lottare per un vantaggio qualunque
e lo strepito degli affari, la disgusta.

Gioia e Tristezza non sono per lei due sentimenti diversi.
E'  presente accanto a noi solo quando essi sono uniti.

Possiamo contare su di lei
quando non siamo sicuri di niente 
e curiosi di tutto.

Tra gli oggetti materiali le piacciono gli orologi a pendolo 
e gli specchi,
che lavorano con zelo 
anche quando nessuno guarda.

Non dice da dove viene 
e quando sparirà di nuovo,
ma aspetta chiaramente simili domande.

Si direbbe che 
così come lei a noi,
anche noi siamo necessari a lei, per qualcosa.

Oggi penso e ripenso a quand'è l'anima e una foto di 20 anni fa risponde e continua per me quella poesia...

L'anima la si ha quando la retina si ribella e regge l’immagine dell’imperatore nudo quel tanto che basta a dare fiato alle corde vocali.
Ci sorprende nel punto d’incontro tra la paura ed il coraggio.
Non pretende mai eroismi l'anima, ma disprezza gli assenteismi, soprattutto se ad assentarsi è l’Integrità.
In quel caso si dimette senza tante chiacchiere.

Si direbbe che alcune anime camminino su più di due gambe e vadano più in là del tempo di una vita.

Spero che le anime si ereditino anche.  
Disperderle significherebbe ri-perderle.
Significherebbe uccidere. 
Di nuovo.


giovedì 17 maggio 2012

Lucianina sulla violenza contro le donne. Perchè non mi ha convinta...

La Litti è esilarante, intelligente e una "paroliera" impertinente e simpatica che aspetto sempre con curiosità e voglia di divertimento.
Con gli occhi strizzati dal sonno l'ho aspettata anche l'altra sera, lunedì 14, a "Quello che non ho", la trasmissione di Fazio e Saviano.
Presentava la parola Donna e ad un certo punto ha parlato di violenza contro le donne e di femminicidio.,
Stavolta però non mi ha convinta.
Proverò a dire i perchè.
Intanto, ecco il video.



Luciana ha senz'altro il merito di parlare di femminicidio e di fare riferimento alla visione della donna come proprietà privata maschile, come ad una  radice di questo fenomento.
Nonostante questo il suo intervento non mi ha convinta affatto.

Non mi convince perché utilizza la parola colpa.
Quel "diciamocelo è anche un pç colpa nostra (...) perché noi donne quando amiamo non capiamo più niente" è una provocazione, d'accordo, ma utilizza una parola - "colpa" - intrisa storicamente di una montagna di stereotipi su come funziona la violenza; fa eco ad una sorta di "a volte ce la cerchiamo", uno dei più infelici mantra della storia delle donne.
Il modo in cui prosegue la frase, poi, sembra rimandare ad una specie di "ingenuità comune alle donne" che quando amano, appunto, non "distinguono più, amano tutto".

mercoledì 9 maggio 2012

Tenersi a mente e portarsi: pesi e contrappesi sulla soglia di un Centro Antiviolenza

Suonare il campanello, salire le scale, bussare alla porta di un Centro Antiviolenza.
Azioni che hanno peso.

La porta si apre. 
Occhi che hanno addosso la fatica di chi ha trascinato l’anima in salita. 
Di peso. Contro gravità.
La resistenza incontrata è fisica: è un fatto di muscoli, articolazioni, crampi e battiti.

Qualcuna ha conservato quell’indirizzo in un cassetto, per anni.
Talismano della speranza.
A volte, è preferibile saperlo lì a porgere un filo a cui aggrapparsi al bisogno, che usarlo, rischiando di giocarselo per sempre, come insinua il sospetto che possa non servire a nulla..

Qualcun’altra ha chiamato un’amica la sera prima, chiedendo di testimoniare per lei le volontà della notte di fronte al mattino.
Ormai conosce bene il rischio di tradire i pensieri nati nel buio.
Il sole sembra dissolverli; li spaccia per ombre del dormiveglia, nebbie, illusioni.
Gli occhi sono troppo indeboliti per fronteggiarlo. Fotosensibilità acquisita..
All’amica si chiede di essere il palo sulla barca di Ulisse, a cui legarsi e stringersi, per sostenere il canto di sirene bugiarde e mantenere la traiettoria.

Le donne raccontano spesso di avere chiesto all’amica di accompagnarle, ma soprattutto di “co-stringerle” ad andare al Centro anche se improvvisamente, al mattino, avessero cambiato idea.

Chi apre la porta dall’interno sa che deve tenere presente il travaglio delle scale perché  dentro quelle stanze nascano le parole per dirlo e poi, lentamente, quelle per ri-darsi alla luce.

Elena Mearini ha scritto un piccolo romanzo molto intenso, in cui la fatica - a volte, davvero quasi epica - dell’andare fisicamente in un Centro Antiviolenza è narrata in un modo che riesce, secondo me, a metterne in parole il peso specifico, con un linguaggio che da, letteralmente, carne e consistenza al dolore.

Eccone un estratto:
"Una tachicardia forte. Tacco a spillo che batte in petto. Calpesta la gola e inciampa in bocca. Mordo le labbra. Sanno di cuore stracotto, dimenticato in pentola. Sono anni che non alzo il coperchio e ignoro il punto di ebollizione.
Cammino decisa.
Voglio provarci.
Cacciare il passo nell’acqua che scotta. Fare visita alla cottura del cuore. Sfidare l’ustione con l’amianto ai piedi.
Alla mia destra il civico trentadue. Scorro i nomi al citofono. Al terzo il dito si ferma. È tendinite all’indice. Nervo che incrocia e brucia. Reagisco a scatto d’estintore. Forzo la mano e premo il pulsante. Un getto forte sopra la scritta Sportello Donna – Centro d’ascolto. Apro il portone. Scala a destra. Terzo piano.  
Salgo contratta. Maglia di ferro che perde aggancio. A ogni scalino rischio un inciampo. Due rampe e mi fermo. Stringo la tracolla della borsa. Impugno il cuoio con la scalata in mano. Il piano terzo è cima che ghiaccia. Lassù non c’è spazio per una che si scorda il cuore sopra la fiamma accesa.
La psicologa scuoterà la testa. Riderà in faccia all’aorta evaporata, al ventricolo bollito. Una vita ormai spacciata. Cotta al punto che nemmeno il dente la morde più. 
Un’ultima rampa di scale. Forse sono ancora in tempo, bastano pochi passi. Altri otto. E potrei rompere l’esilio del mio morso. Spegnere il fornello dei miei giorni. Dire basta a questo eterno bagnomaria. 
Afferro il corrimano. Due gradini. Apro e chiudo le mandibole. Provo le vocali sulle labbra.
La bocca si allena a chiedere aiuto. Ma è parola troppo grande, ci sta scomoda nel palato, soffoca contro le gengive.
E muore prima di essere voce.
Sul pianerottolo è già funerale, terra e lapide al soccorso. Guardo la porta del Centro.
Arretro, gambero verso l’ascensore. Rossa di vergogna per averci provato a rompere il patto con la mia croce.
Cristo rimase fedele, andò avanti con la sua corona di graffi. Dritto al chiodo senza lamento.
Cosa penserà di me, ferma qui davanti? Con questa smania di aiuto in testa, io che non ho spine in fronte.
Io che ho soltanto Diego, calcato sulle tempie.”
(E. Mearini, Undicesimo comandamento, Perdisa Editore, pp.34-36) 

Principessa Amnesia. Illustrazione di Rebecca Dautremer in "Princesses oublièes ou inconnues".

"Quando dimentico è come se un'idea giocasse a rimpiattino sul fondo della mia anima".dice di sè la Principessa Amnesia.  
Tiene appeso al muro un foglio con su scritto: "Tenere a mente di non dimenticare di ricordare".
(...) "Dimentica tutto: chi è lei, chi siete voi, quello che farà, perchè siete là.. Non ha memoria davvero, solo un buco nero".                                                    (da P. Lechermeier, R. Dautremer , "Principesse dimenticate o sconosciute",  Rizzoli.)