lunedì 31 dicembre 2012

Il bivio in bilico

Fine d'anno, tempo di equilibrismi smascherati.
Inventarsi o fermarsi: al giro di boa, diventano illusione di scelta; quel bivio non c'è, o meglio... ha un altro nome: creare o morire mortiferi.

"Quando si rinuncia a creare, non resta altro che distruggere: perché nessun vivente può tenersi in piedi - immobile - sulla ruota del destino".
Claude Cahun,  Saffo l'incompresa, in Eroine


Buon anno dal Mafraj,
a tutti auguri di un eroismo terra terra, ben ancorato, non più sospeso.

domenica 30 dicembre 2012

Haiku - la bellezza in tre versi... e un'idea-regalo.

Terra ghiacciata
lungo sonno del ghiro
io ti aspetto

Tina Caramanico

Se qualcuno di voi è per caso in mostruoso ritardo con i regali natalizi, ecco un'occasione da non perdere per farsi perdonare l'attesa: un piccolo libro gioiello - di poche parole e molta bellezza - a prova di tasca precaria.

Si chiama Inverno ed è il primo  della serie 'Le stagioni dell'Essere'  della collana antologica Hanami - Edizioni della sera. 
Il volume curato da Fabrizio Corselli raccoglie 25 haiku,  componimenti poetici tipici della  tradizione giapponese le cui  caratteristiche peculiari sono la  brevità (soli tre versi) e la capacità  di esprimere per immagini il nesso tra l'uomo e la natura, catturando attraverso la parola     densa una connessione salda, e nello stesso tempo fluida, tra l'io poetico ed il mondo circostante, spogliato dei suoi orpelli da uno sguardo che punta dritto all'essenzialità.

Parole da meditare ad una ad una, versi che creano scenari pur senza inventare nulla. 
Pura magia di sguardo, uno sguardo lento che indugia su una bellezza semplice, ordinaria.

Ecco solo un paio di perle, giusto per averne un'idea:



Campi acquattati
come un gatto in attesa
le fusa del vento

Menta e cannella 
tutto il mondo attraverso
vapori di tè

Fiore di campo
perso tra le pagine -
non sa che è inverno

(Andrea Festa)

***

Fili di brina 
ricamano l'abete 
di pizzi e trine
(Flavia Rolli)

***

 Neve e silenzio 
china sulla tastiera 
lustro parole
(Marzia Musneci)


Buona lettura!
Illustrazione di S. Crisà



domenica 2 dicembre 2012

Se qualcuno sta nascendo..

Io non ho figli - né penso di averne a breve - ma il tema Nascita mi attrae da tempo come una calamita, tanto come metafora quanto come evento reale.
Le ragioni di questa attrazione forse mi saranno chiare solo tra molto tempo.
Per adesso quel che so è che sento di doverci fare i conti, perché dove c'è una nascita in corso c'è uno snodo importante che in qualche modo mi chiama in causa, che mi riguarda personalmente.

Quando  qualcuno o qualcosa sta nascendo  è il tempo in cui ci giochiamo personalmente una nuova chance di ri-concepire libertà.. dell'altro, dell'altro da noi, di noi dall'altro e perfino dalle nostre stesse creazioni e dalla loro capacità di imboccare strade imprevedibili, una volta consegnate al mondo.

Generare -  avendo cura di ri-generare -  sé dall'altro e l'altro da sé.
Mi sembra che ci sia in gioco tutto questo... e molto di più.


Lasciate tranquilli 
quelli che nascono
Lasciate spazio
perché possano vivere.
Non preparate già 
tutto pensato.
Non leggete a tutti 
gli stessi libri.
lasciate che siano loro
a scoprire l'alba,
a dare un nome ai loro baci.
Pablo Neruda

lunedì 19 novembre 2012

Un mafraj perfetto


Questo si che è un Mafraj perfetto! Dotato di colore e calore quanto basta!


Vien voglia di entrare dentro a questa splendida illustrazione di Rebecca Dautremer, illustratrice che adoro.
Al centro della scena c'è Ammiramitù, eccentrica simpaticona che insieme a numerose altre compagne di nobiltà dimenticata,  è protagonista di Princesses, imperdibile albo illustrato edito in Italia da Rizzoli.
Si tratta di un viaggio per immagini e parole nel mondo delle principesse dimenticate, curiosando nelle loro vite e spiando tra i loro bislacchi accessori. 
Il libro racconta le straordinarie biografie di Principesse sconosciute come la smemorata Amnesia, Grimaldella, Bellabarba, la pigra Sprofondina, l'infaticabile lettrice Quattrocchi, le siamesi Ding e Dong e di tante altre.

Un'opera d'arte da gustare con gli occhi.

giovedì 8 novembre 2012

Adozione per le coppie gay. L'orticaria e i pensieri a frenata libera...

Io provo sempre una discreta orticaria ogni volta che, in una conversazione qualsiasi, qualcuno esordisce con frasi del tipo:  "io non ho niente contro i gay" o, al contrario, "io sono a favore delle coppie gay"...  o ancora: "io non sono affatto contro le coppie omosessuali a condizione che..." ecc. ecc.
In queste occasioni mi chiedo sempre: ma questo qui pensa davvero che il mondo abbia bisogno del nostro schierarci, ad uno ad uno, pro- o contro- questo e quell'altro per fare il suo corso?

Mi sembra sempre che la questione sia mal posta fin dall'inizio e che venga affrontata con un eccesso di semplificazione  puntualmente condita  con una bella dose di improvvisazione.
Eppure questo genere di frasi le pronunciano più o meno distrattamente anche colti ed intellettuali di ogni sorta. 
L'aspetto più interessante è che queste considerazioni nascono per lo più dall'impatto emotivo della questione sul singolo, più che da riflessioni nate da esperienze di prima mano - dall' incontro e dal confronto con famiglie diverse dalla propria - nella vita quotidiana.

Possiamo farci toccare da incontri reali? 
O continueremo ancora per molto a rifugiarci nelle opinioni astratte, ogni volta che l'emozione del cambiamento ci suggerisce frenata, retromarcia e poi una bella fuga intellettuale, giusto per andare sul sicuro?

Oggi su Repubblica, Michela Marzano scrive sull'argomento:
"Per chi si oppone al disegno di legge sul matrimonio e sull' adozione delle coppie omosessuali, il vero problema è il benessere dei bambini. Sarebbe immorale e pericoloso permettere a due persone dello stesso sesso di adottare un figlio privandolo così della possibilità di avere un padre e una madre (...).  Esistono solo tanti modi diversi, per i bambini, di imparare a "tenersi su", come direbbe Winnicott.  Ossia tanti modi diversi per capire che si ha diritto di essere quello che si è, indipendentemente dalle aspettative altrui (...) a meno di non restare prigionieri degli stereotipi che, per secoli, hanno codificato non solo la virilità e la femminilità, ma anche la maternità e la paternità (...). Opporsi all' adozione delle coppie omosessuali in nome dell' ordine simbolico non vuol dire solo confondere differenza e orientamento sessuale. Significa soprattutto non capire che il problema della filiazione è altrove e che si pone sempre quando un bimbo arriva all' interno della famiglia, indipendentemente dal fatto che un bambino cresca accanto a due uomini, a due donne, o ad un uomo ed una donna. Per crescere, infatti, ogni bimbo ha bisogno di essere accettato nella propria alterità, e quindi di essere riconosciuto come "altro" rispetto ai propri genitori. Proprio perché è unico. E che la propria individualità è legata a quest' unicità. È solo in questo modo che si ha poi accesso all' ordine simbolico secondo cui non solo la donna è diversa dall' uomo, ma ogni persona è diversa da tutte le altre, pur condividendone i diritti e i doveri. Incentrare il dibattito sulla questione dell' unicità e dell' individualità, però, costringerebbe ognuno di noi ad interrogarsi sulla propria capacità di tollerare ciò che è diverso. Sapendo benissimo che i bambini, quando crescono, si identificano non solo ai genitori, ma anche a tutti gli altri adulti che contribuiscono alla loro educazione.E che tanti problemi, nella vita, nascono quando non si è stati accettati e riconosciuti per quello che si era. "

Ecco il link all'articolo completo:
Se la normalità diventa discriminazione - Michela Marzano / Repubblica.it


lunedì 8 ottobre 2012

La gioia, una scelta.


Una serie di pungoli arrivati tutti insieme, e più o meno casualmente, da qualche tempo mi fanno ronzare in mente l’idea che la gioia sia una responsabilità personale, di quelle con la R maiuscola e con un loro peso specifico, non del tutto ponderabile.

Mi arrendo al ronzìo e al pungolo.

Credo nella gioia.
E credo che la gioia sia una scelta.
Scelta di apprendistato
per pazienti appassionati.
Unica scelta capace di trasformare migrazioni continue in un continui ritorni a casa.
Casa non di mattoni, ma di costruzioni: casa che muove e cambia i suoi pezzi a colori, 
ma rimane grembo.
Casa che raccoglie mappe stropicciate, diari di bordo e cartoline di viaggio come fossero quadri ben quotati.

Ci vogliono piedi ben piantati a terra per mantenere la rotta di volo della gioia: è lavoro di resistenza alla
vertigine, sul ciglio della voglia di cadere.

La Gioia a cui sto pensando non è una storiella pacificante che ci si racconta per non dar retta all’infelicità.
Quello è barare deviando da una via maestra.. di Casa. 
Scorciatoia fasulla, maestra di niente.
La gioia a cui sto pensando è questione di fedeltà a se stessi, 
al proprio corpo e al suo silenzioso sapere.


Oggi questa specie di Credo laico e 'd'impeto' nasce dall’aver ripescato una splendida e imperdibile poesia di Mariangela Gualtieri, straordinaria autrice conosciuta qualche anno fa.
Eccola:



Popolate dicevano questo deserto nel cuore
con giravolte di gioia.
Gioia dicevano era la prima legge del mondo.
Sempre gioia dicevano.
Con gioia lo dicevano.
Imparavo allora la mano aperta e l'attesa.
Mi allenavo con l'abete.

Imparavo la scucitura, dalle porte la spalancatura,
dal remo imparavo il corpo a corpo e la spinta,
dal pilone sopportazione, dalla botola la custodia,
dallo spino concentrazione e attacco, dalla neve nitore e scomparsa,
dalla rondine il riso della corsa, e poi dal
fiore il furore, furore dall'edera e dall'erba, dalla
candela imparavo il silenzio, dal silenzio la luce
ed ero a casa.

Mariangela Gualtieri. Senza polvere e senza peso. Einaudi 2006

Mariangela Gualtieri

lunedì 1 ottobre 2012

Essere terra presente


Non siate solo stendardi 
ma anche terra presente. 

Non siate solo musica 
ma anche silenzio di perla. 

Non perdete mai il contatto 
del vostro cammino: 
ricordatevi che il sangue si ferma 
perché non vuole parlare. 


Alda Merini

Radici. Frida Kahlo

giovedì 20 settembre 2012

Melting pot family


Il mio reticolo familiare per parte materna è un curioso melting pot di cui vado particolarmente fiera.
Il bilancio aggiornato all’ultima mega riunione estiva denuncia la presenza di posti ancora vacanti per aspiranti rappresentanti di Oceania ed Africa.
Gli altri tre continenti sono tutti egregiamente rappresentati. 

Ad oggi, posso vantare una simpaticissima zia filippina, un’affascinante cugina giapponese; un very cool cugino con padre scozzese e antenati tedeschi, but born in the U.S.A.; vari affettuosissimi cugini italo-filippino-americani negli States e, dulcis in fundo, uno splendido cuginetto 4years old, con capelli biondissimi e meravigliosi occhi dal taglio vagamente orientale, che adora le cozze scoppiate al limone.

Così, una sera a cena, davanti ad un piatto di pasta con sarde e finocchietto, può capitarti di conversare piacevolmente - e con grande naturalezza - un po’ in italiano, un po’ in dialetto siciliano e un po’ in un azzardato American English che mette tutti d’accordo, con buona pace di chi i miscugli li crede troppo complicati da gestire.

Pura ricchezza, insomma.

Wislawa Szymborka conosceva e amava questo genere di ricchezza. 
Con la sua ironia leggera e pungente, ne scrisse in una sua poesia in cui metteva alla berlina i fanatici dei confini e, nello stesso tempo, celebrava la naturale bellezza delle commistioni.
Non a caso, la poesia si chiama Salmo.

La scelgo come mia preghiera laica di ringraziamento per quest’Estate di intrecci e sconfinamenti ritrovati.


Salmo (1976)


Oh, come sono permeabili le frontiere umane!
Quante nuvole vi scorrono sopra impunemente,
quanta sabbia del deserto passa da un paese all’altro,
quanti ciottoli di montagna rotolano su terre altrui
con provocanti saltelli!

Devo menzionare qui uno a uno gli uccelli che trasvolano,
o che si posano sulla sbarra abbassata?
Foss’anche un passero – la sua coda è già all’estero,
benché il becco sia ancora in patria. E per giunta, quanto si agita!

Tra gli innumerevoli insetti mi limiterò alla formica,
che tra la scarpa sinistra e la destra del doganiere
non si sente tenuta a rispondere alla domande “Da dove?” e “Dove?”.

Oh, afferrare con un solo sguardo tutta questa confusione,
su tutti i continenti!
Non è forse il ligustro che dalla sponda opposta
contrabbanda attraverso il fiume la sua centomillesima foglia?

E chi se non la piovra, con le lunghe braccia sfrontate,
viola i sacri limiti delle acque territoriali?
Come si può parlare d’un qualche ordine,
se non è nemmeno possibile scostare le stelle
e sapere per chi brilla ciascuna?

E poi questo riprovevole diffondersi della nebbia!
E la polvere che si posa su tutta la steppa,
come se non fosse affatto divisa a metà!
E il risuonare delle voci sulle servizievoli onde dell’aria:
quei pigolii seducenti e gorgoglii allusivi!

Solo ciò che è umano può essere davvero straniero.
Il resto è bosco misto, lavorìo di talpa e vento.

Da La gioia di scrivere – traduzione di Pietro Marchesani, Gli Adelphi 2009
Wislawa Szymborska


- English Translation by Stanislaw  Baranczak e Clare Cavanagh- 


Oh, the leaky boundaries of man-made states! 
How many clouds float past them with impunity; 
how much desert sand shifts from one land to another; 
how many mountain pebbles tumble onto foreign soil 
in provocative hops!  

Need I mention every single bird that flies in the face of frontiers 
or alights on the roadblock at the border? 
A humble robin - still, its tail resides abroad 
while its beak stays home. If that weren't enough, it won't stop bobbing!  

Among innumerable insects, I'll single out only the ant 
between the border guard's left and right boots 
blithely ignoring the questions "Where from?" and "Where to?"  

Oh, to register in detail, at a glance, the chaos 
prevailing on every continent! 
Isn't that a privet on the far bank 
smuggling its hundred-thousandth leaf across the river? 
And who but the octopus, with impudent long arms, 
would disrupt the sacred bounds of territorial waters?  

And how can we talk of order overall? 
when the very placement of the stars 
leaves us doubting just what shines for whom?  

Not to speak of the fog's reprehensible drifting! 
And dust blowing all over the steppes 
as if they hadn't been partitioned! 
And the voices coasting on obliging airwaves, 
that conspiratorial squeaking, those indecipherable mutters!  

Only what is human can truly be foreign. 
The rest is mixed vegetation, subversive moles, and wind. 


Wislawa Szymborska

giovedì 16 agosto 2012

Tutto


Una parola sfrontata e gonfia di boria.
Andrebbe scritta fra virgolette.
Finge di non tralasciare nulla,
di concentrare, includere, contenere e avere.
E invece è soltanto
un brandello di bufera.


Wislawa Szymborska

domenica 12 agosto 2012

Un cartone animato per raccontare un amore omosessuale

Le baiser de la lune è un delizioso cortometraggio francese creato da Sèbastien Wetel.  
Il cartone animato è destinato agli alunni delle scuole medie e proposto agli insegnanti come strumento didattico.
Con la forza e la delicatezza della poesia per immagini, l'autore racconta la nascita di un amore. 

Prigioniera di un castello di favola, una gatta - la dolce Agathe - è convinta che non ci si possa amare se non come i principi e le principesse. 
Questa visione univoca dell'amore, però, verrà messa in questione da Felix, un piccolo pesce-gatto - nipote adottivo di Agathe - che si innamora di Leòn, un pesce luna: come la luna è innamorata del sole. 
Due amori impossibili per Agathe alla quale tanto la Luna quanto Felix e il suo Leon appariranno folli in prima istanza. 
La paura di deludere Agathe e il desiderio scomodo, quanto soffocato, di venire alla luce saranno le prove che il piccolo pesce-gatto dovrà affrontare e superare scegliendo l'ascolto dei propri sentimenti, unica guida capace di mostrare la via e, più tardi, di cambiare - aprendolo - lo sguardo di Agathe.

Le baiser de la lune racconta dunque la storia di un amore omosessuale e la bellezza multiforme del Legame che rende possibile ad una gatta amare un pesce come un nipotino, così come alla luna amare il sole, suo opposto, come sposo.





YouTube (o chi per lui) rubrica tra i suoi video la versione sottotitolata in italiano del trailer,affiancando alla traduzione del titolo queste infelici parole di commento: "Un cartoon per spiegare l'omosessualità ai bimbi". 
Il punto di forza del lavoro di Wetel è la narrazione di un amore possibile. 
Ben altra cosa rispetto alle spiegazioni
Cosa c'è da spiegare? Cosa fa di un sentimento e della sua nascita spontanea qualcosa da spiegare?  
Domande retoriche. Lo sappiamo fin troppo bene.

Alle pretese spiegazioni pseudo-scientifiche Wetel oppone però la potenza lieve e incisiva di una buona narrazione.
Ecco le sue parole:
"Attraverso questo film spero di fornire una migliore rappresentazione delle relazioni d'amore tra persone dello stesso sesso. Si tratta di mostrare che due uomini o due donne possono amarsi anche se i loro amori sembrano diversi se non impossibili. Il film è rivolto ad un pubblico infantile per lottare contro l'omofobia che spesso emerge durante l'adolescenza e al di là della questione dell'omosessualità questo film è una lotta contro le discriminazioni per imparare il rispetto dell'altro e della sua differenza. Partire dall'universo poetico de Le baiser de la lune per far riflettere gli allievi sulle differenti relazioni d'amore. (...)  Questo dvd e il suo libretto sono diretti agli insegnanti per stimolare un dibattito con i loro studenti sui rapporti d'amore dopo la visione del film anche con esercizi e stimoli ludici sugli stereotipi relativi alle relazioni tra persone dello stesso sesso. (...) La cosa più interessante è che i bambini non si concentrano sul concetto di sessualità. Parlano di amore, di libertà e sono contenti che i piccoli pesci possano scegliere.

Consiglio anche la visione del trailer in lingua francese per apprezzare al meglio il lavoro, dato che la qualità del video è di gran lunga superiore. 
















domenica 5 agosto 2012

Se la coperta è un ventaglio..

Alzi la mano chi, tra gli Psi-qualcosa, alla domanda "che accidenti è un oggetto transizionale?" non ha risposto almeno una volta tirando in ballo la coperta di Linus.   

Eheheheh. 
Nessuna mano in alto, molti arresi.  

Lo so, lo so.
Poco male. 
L'esempio è perfetto: l'oggetto transizionale in fondo è un antidoto che scegliamo, o ci fabbrichiamo, contro la solitudine e il non-controllo dell’Altro quando lo scopriamo libero e capace di renderci, per un istante o per sempre, mancanti... e svuotati della nostra onnipotenza illusoria. 
Un tessuto morbido che ci aiuta a sostenere la nostalgia della pelle che amiamo.
Una coperta per affrontare il freddo dell'assenza e scivolare in un sonno fiducioso. 

Che la questione non riguardi solo i bambini, poi, è ormai cosa nota, anche se spesso meno evidente.

Tutto sommato non fa una piega la coperta, insomma.

Oppure si? 
 A Ballar'home si, e più d'una. Tante quante quelle di un ventaglio almeno. 

Quale bambino o adulto sceglierebbe come oggetto transizionale una coperta a Palermo, a Luglio?
L'esempio scricchiola.

Vi dico la mia: riesco ad addormentarmi solamente con ventaglio in mano, sventolando piano e ritmicamente. Ad un certo punto il ventaglio casca sul letto, ma accade solo qualche secondo prima che io sia definitivamente crollata fra le braccia di Morfeo, quando il fedele ventaglio ha ormai portato a termine la sua consegna.
A quel punto -  e solo a quel punto - possono andare in onda i sogni d'oro.

Senza ventaglio notturno io vado un pò in panico. 
Solo "un pò" ... perché in effetti, avere superato l'asilo da qualche tempo, dà qualche leggero vantaggio nell'area dei fenomeni transizionali.

Certo, più che il sostituto simbolico di un oggetto d’amore, il mio ventaglio sembrerebbe un rimedio contro la mancanza d’aria, nell’afa di certe notti palermitane. 
Ma questo è un dettaglio riservato ad osservatori poco fantasiosi.

Mi viene in mente che il buon Winnicott ebbe a dire che l’uso dell’oggetto transizionale è per un bambino la prima esperienza di creazione simbolica.
Però!
Bè se la mettiamo così, non deve esser niente male il ventaglio come simbolo!

Consulto l’oracolo Google.
Mi rivela che secondo più d’una tradizione culturale, la sua forma simboleggia il dipanarsi dell’esistenza che si sviluppa a partire da un momento centrale - il perno - e gradatamente si espande, articolandosi in pieghe e superfici lisce, per completare il suo ciclo e raggiungere la pienezza dell’orizzonte.

La separatezza dell’Altro e l’irruducibilità del suo desiderio che può portarlo in ogni istante su sentieri lontani dai nostri sono bocconi agrodolci, mai del tutto facili da mandar giù.
E se fosse l’apertura creativa di una vita-ventaglio il simbolo-antidoto capace di sciogliere questo eterno magone?

Qualcuno dirà che se solo avessi investito un pò di quattrini e montato un condizionatore a Ballar’home, in questo momento sarei già nel regno dei sogni (fresca, bella e addormentanta) e, soprattutto, non staremmo qui a solleticare i piedi a Winnicott.

Concordo pieamente. 
Ma che volete farci? Il pensiero nasce - per l’appunto - dall’assenza, diceva (più o meno) Bion.

Quindi, mi chiedo:
e se fosse la possibilità di inventare e volere la propria strada scoprendo il suo dipanarsi tra dossi e pianure, il sentiero capace di insegnarci la strada dell’altro e la sua libertà?

E se la "coperta" si trasformasse ad un certo punto in un ventaglio, quale orizzonte, s-copriremmo?

L’ora è tarda, l’afa è la solita.
L‘amato Morfeo mi reclama.
C’è giusto un pò di venticello serale a dar fiato alla vela, ma le nostre strade si incontreranno.
Il mio ventaglio è al suo posto, pronto anche questa notte alla traversata.





giovedì 26 luglio 2012

La sfida del nodo

Ho tra le mani un libro forte come solo le narrazioni che dicono la vita dall'interno, dalle viscere, possono esserlo. 
E' un libro che parla di un legame e del suo linguaggio scritto sul corpo
Non aggiungo altro, vi lascio alla potenza di queste parole:
 "Per i tessitori di tappeti e di stoffe di tutto il mondo, la sfida del nodo sta nelle regole della sua inesauribile varietà. I nodi possono variare ma devono essere fatti con criterio. Un nodo informe è un garbuglio. (...)
La cosa interessante dei nodi è la loro complessità formale. 
Anche il più semplice nodo, il trifoglio, con i suoi tre lobi grosso modo simmetrici, possiede sia una sua bellezza matematica che una bellezza artistica.
Un unico laccio d’amore legava me e Louise. La corda che passava intorno ai nostri corpi non faceva brusche involuzioni né giravolte sinistre. I nostri polsi non erano legati e non c’era cappio intorno ai nostri colli. (…)
Tra il Tre e il Quattrocento, in Italia uno dei passatempi preferiti consisteva nel legare due lottatori con una corda robusta e farli battere fino alla morte. E spesso finiva con la morte, perché il perdente non poteva ritirarsi e il vincitore difficilmente lo risparmiava. Questi prendeva poi la corda e ci faceva un nodo. Bastava che andasse per le strade facendola oscillare per estorcere denaro ai passanti spaventati.
Non voglio essere il tuo passatempo né che tu sia il mio. Non voglio prenderti a pugni solo per il gusto di farlo, ingarbugliando le semplici funi che ci legano, mettendoti in ginocchio per poi sollevarti di nuovo. Lo specchio evidente di una vita governata dal caos.                                                                                            Voglio che il cerchio intorno ai nostri cuori sia una guida e non una minaccia. Non voglio tenerti più stretta di quanto tu possa sopportare. Né voglio che le funi si allentino, che il filo ceda da un lato, che ci sia corda a sufficienza per impiccarci.

 Jeanette Winterson, Scritto sul corpo, 1992. P. 90






lunedì 16 luglio 2012

La Rosalia "viva" e il festino dal tetto


Quest’anno ho visto il festino scorrere come un fiume di luci da una terrazza su Corso Vittorio   Emanuele - “il letto” - su cui puntualmente il carro della Santuzza viene accompagnato fino al Mare.

La Rosalia di quest’anno era una donna di movimento. 
 Rizzuti, lo scultore che l’ha re-inventata per la Palermo di quest’anno, le ha dato muscoli e linee morbide. 
Si aveva l’impressione che incedesse elegante, integra, essenziale, fiera e, nello stesso tempo, fragile: esposta e disposta a tutte le contaminazioni vitali.

Una Rosalia che ho sentito impastata con la terra e l’acqua, modellata da vento e fuoco incontro all’aria rovente carica di salsedine.

Una donna prima di tutto.
Una donna che con la sua creta mi fa sentire la mia carne.

La sua bellezza mi è parsa flessuosa e “rugosa”, disposta a indossare le linee curve del tempo.
La bellezza di una donna vera con le mani e i piedi sporchi di terra. 
Una donna che può permettersi di percorrere e ripercorre quelle linee, ogni volta che c’è bisogno di sentire la vita.


Qualche giornalista di poca fantasia ha definito la Rosalia di quest’anno "sexy" (tanto per cambiare!). 
Bisogna capire: sono tempi di carestia questi per chi deve cercare e scegliere le parole. 
Ci si affida alla ripetizione di termini "da copertina" come alle scatolette di cibo precotto in tempo di guerra.

Salvatori Rizzuti ha commentato così:
"...Un tempo erano le immagini che sintetizzavano i concetti e facevano presa sulla percezione collettiva; oggi (probabilmente perché non si è più abituati alle buone immagini), fanno presa i titoli da scoop, che distorcono la verità delle cose. Io, che lavoro e mi esprimo con le immagini, voglio continuare a sostenere il loro primato rispetto a ogni altra forma di comunicazione (...) invito tutti i cittadini a venire a constatare dal vivo la "sensualità" dell'opera, che è ben altro concetto rispetto a "sexy". La sensualità appartiene alla bellezza, alla natura, al corpo, alle forme pure, all'arte".

Porta Felice -  il traguardo di Rosalia sulla soglia del mare - era sovrastata da una luminaria circolare che per tutta la sera ha attirato la mia attenzione come una calamita. 

Foto Campolo/Palermo Today

La si potrebbe immaginare come un'aureola per Rosalia, ma tutte le volte che la riguardo - anche adesso, su questa foto - si sovrappone alla possibile aureola un altro simbolo, forse ancora più potente: la Vagina.  
Un'immagine forte che, come ogni simbolo che si rispetti, non oppone - sacro e profano, terra e cielo, sante e puttane, madri e donne – al contrario, mette insieme, chiude il cerchio.. e permette, finalmente, un passaggio che ri-genera.

Viva la "Rosalia viva" allora e.. Viva la Palermo che vuole rinascere.



lunedì 9 luglio 2012

Prima le donne e i bambini. Cronaca della mia disavventura su un treno non troppo “immaginario”.

Sono le 8 di sera, il mio treno dovrebbe partire alle 8,13. 
Il benvenuto alla stazione è un monitor che segnala la cancellazione di 4 treni.
Mi aspetta un’oretta di afosa attesa, penso.

Già, perché ci sono 35 gradi ed io sono arrivata trafelata, con una valigia appresso ed in tenuta da ordinario combattimento palermitano: capelli a sanfasò1, domati alla meno peggio da una forcina storta, “prendisole” e sandali. Di più non si sopporta.

Ma Trenitalia pare avere un moto di generosità: eccezionalmente il treno delle 8,08 per Messina fermerà anche a Bagheria, proprio dove devo andare io.
Qualcuno mi fa capire che se sono una di quelle che rischia di schiattare lì al caldo per più di un’ora nell’attesa di un treno utile, posso anche provare a salire, magari correndo. Grazie assai.
Io non ho ovviamente obliterato il biglietto, non ho fatto in tempo, ma intravedo il controllore sulla porta dell’ultimo vagone per cui - ore 8,08 in punto - cammino spedita verso di lui, così “me lo scrive” - penso - e non mi fa storie.
“Solo che”, il gentiluomo comincia a imprecare:
Devi aprire la porta, che fa non si capisce? Che ci vuole? Il disegnino? Ti pare che aspettiamo a te?

Il caldo ci fa venire fuori al naturale.
Ma talè a chistu2!
Mi fermo e, ancora da lontano, gli faccio notare che è il caso di darsi una calmata anche perché è Trenitalia che sta offrendo un disservizio, costringendomi a inseguire un treno in partenza, visto che il mio ed i successivi sono stati cancellati. Tra l’altro, non ho certo chiesto io di aspettarmi.
Entro comunque su questo benedetto treno e porgo il biglietto al gentiluomo agitato perché lo validi; ancora borbotta con un fare infastidito. 
Improvvisamente capisco perfettamente l’espressione “m’acchianò u sagnu n’tiesta3!”. Descrive pienamente il mio stato d’animo.

Ripropongo la storia del disservizio, lui farfuglia infuriato cose che neanche ricordo per bene: non è vero che ci sono treni soppressi e se anche è vero non li ha certo soppressi lui, lui deve finire il turno, il treno non può aspettare i porci comodi di certa gente.. ed altre amenità, ma non ha molta importanza.
Quello che ha veramente importanza è il tono: offensivo, saccente, inopportunamente confidenziale.. con un uso del  ostentato tu che non capisco e che mi irrita sempre di più.
Sembra un padre che riprende malamente il figlio dodicenne  un pò troppo “scanazzato”4  per i suoi gusti.

Le vorrei far notare che io non sono sua sorella e che non è assolutamente il caso che lei si rivolga a me in questo modo. Come diavolo si permette? – dico.
Risposta (quasi urlata): a si? va bene va bene, intanto tutte queste persone sedute qua ora arrivano in ritardo per aspettare te! La prossima volta resti a piedi, hai capito?

Chiude la porta della cabina di comando e mi lascia nel mio brodo tra gli altri passeggeri.
Brodo di “raggia a’màtula”5 perché l’interlocutore si è sottratto e il pubblico non è interessato al mio “allattariarmi”, visto che stavolta il problema non lo riguarda: sono io l’unica persona che avrebbe dovuto prendere il treno successivo soppresso, loro si trovano esattamente là dove dovevano stare e rischiano pure di partire quasi in tempo, visto che sono le 8,10 e  due soli minuti di ritardo per la partenza sono un evento straordinario sulle ferrovie dello stato. 
Lo sanno bene, che che ne dica il ferroviere gentiluomo di cui sopra.

Più tardi mia madre commenterà: “Vastasu! Però.. il fatto è che da lontano devi essergli sembrata una ragazzina!”.

L'apparenza della matricola fuori sede c'era tutta. Ok,d'accordo, ma la cosa dovrebbe consolarmi?
Domande sparse:
- Se da lontano, avesse visto un uomo, il ferroviere si sarebbe mai sognato di usare questi toni e questo atteggiamento?
- Se da lontano, avesse visto una donna “in tiro” (tacchi, stacco di coscia, tubino o tailleur e complementi d’arredo vari tipici della professionista, di fascino però), il ferroviere avrebbe trovato “conveniente” profondersi in un simile saggio di bon ton ferroviario?

E poi le domande per me, quelle forse più brucianti:
Perché mai l’unica “provocazione” che sono riuscita a tirare fuori, così.. d’istinto, lì per lì, è stata: “ma mi ha scambiata per sua sorella?”?!
Che c’entrano le sorelle? C’è forse una licenza sottile di trattare le sorelle - soprattutto quelle piccole - a pesci in faccia, dopotutto?
Tanto “un c’è cuosa6”, una sorella perdona, ci passa sopra, c’avi a fari?
Evidentemente si, la licenza c’è ed è pure ben consolidata nell’immaginario comune, non si spiegherebbero altrimenti battute come “Sé, A tò suoru!” o “Va riccillu a tò suoru”7 in risposta ad insulti e offese varie.

In fondo avrei potuto chiedergli se avessimo per caso fatto il militare insieme, nonostante io non ne avessi memoria. Invece no, lì per lì, dal magma della raggia è venuta fuori sono la solita sorella e il tentativo di dire che no, non poteva trattarmi come lei, perché io non sono come lei.
Eppure solo lei ho trovato dentro me in quel momento. Altro che raffinate riflessioni su Genere, “Generentole” e dintorni!
In seguito, scrivendo qui, ho anche fatto qualche “passo avanti”.
Avrete notato che ho paragonato il ferroviere ad un padre incazzato con il figlio ragazzino, ma mi chiedo adesso: perché? Forse che la relazione adulto-bambino è un ambito in cui, tutto sommato, un atteggiamento così arrogante e sprezzante può essere considerato “accettabile”? Certo che no, eppure..

E’ un vecchio trucco, dopotutto: Up- chiama down-. Messaggio ricevuto.
E dalla posizione down- scatta la guerra dei poveri o delle povere: “io non sono povera come gli altri (i bambini)/le altre(le donne deboli). Ergo, non mi puoi trattare così”.

Guerra che non risolve granché, come tutte le guerre. Ma che la dice lunga su quanto ancora bisogna combattere, in noi e fuori di noi. Anche quando di “questioni di genere” e di rapporti di potere ci si occupa tutti i giorni.
Insomma, dall’immaginario collettivo al savoir fair ferroviario il passo è breve, andata e ritorno.

Prego, prima le donne e i bambini! Si accomodino!
Ancora.

Ancora.. si, perché il viaggio è ancora lungo.


DIZIONARIETTO PER NON SICULI
  1. A sanfasò: in modo disordinato, "ad muzzum". Pare che abbia origine dal francese "sans façon = alla buonaIl mio sinonimo preferito: “all’ariulè”.
  2. Ma talè a chistu! Dai questo si capisce!
  3. m’acchianò u sagnu n’tiesta: mi è “salito”, ribollendo, il sangue alla testa.
  4. Scanazzato: difficile da tradurre, ma molto trasparente! Amunì! Di solito è sinonimo di "sbandato", "testa calda".. ma si fa presto a dare dello scanazzato anche a chi è troppo vivace/vitale e forse .."sanamente" selvatico" per mettersi in riga.
  5. Raggia a’màtula: rabbia (in ebollizione), ma inutile, fine a se stessa.
  6. un c’è cuosa8: non è successo nulla di importante.
  7. Va riccillu a tò suoru”: Vallo a dire a tua sorella.